A volte ritornano: la Commissione europea riesuma la direttiva Bolkestein per prendere il controllo dei servizi pubblici
Domande e risposte sulla proposta che dà il potere alla Commissione UE di annullare le decisioni locali
Le istituzioni dell'UE stanno attualmente negoziando nuove regole del mercato unico che potrebbero avere un impatto grave e decisamente negativo sul processo decisionale dei Parlamenti, delle Assemblee regionali e dei Consigli comunali di tutta Europa . La Commissione propone di attuare la direttiva sui servizi, ovvero la direttiva Bolkestein, in un modo nuovo ed estremamente invasivo. In pratica, Bruxelles vuole il diritto di approvare o meno nuove leggi e altre misure contemplate dalla direttiva, che copre una vasta gamma di provvedimenti: leggi urbanistiche (pianificazione urbana), politiche abitative, approvvigionamento energetico, approvvigionamento idrico, gestione dei rifiuti e molto altro. .
L'opposizione alla proposta della Commissione sta crescendo rapidamente, in particolare da parte dei Consigli comunali, la cui sovranità potrebbe essere fortemente limitata in molti settori se la proposta verrà approvata. Poiché non sono stati adeguatamente informati sulle implicazioni, molti di loro stanno scoprendo in una fase avanzata che anche i Comuni dovranno chiedere il permesso alla Commissione prima di adottare una misura relativa ai servizi. Ad Amsterdam, il Consiglio comunale ha adottato all'unanimità una risoluzione in cui si afferma che la proposta "incide sull'autonomia delle Autorità locali e costituisce quindi una minaccia per la democrazia a livello locale” . Questo messaggio forte a supporto della democrazia e autonomia degli Enti locali sta iniziando a circolare nelle città di tutta Europa. Una dichiarazione pubblica contro la proposta è stata sottoscritta da oltre 90 organizzazioni europee, tra cui ONG, movimenti sociali e partiti politici, con nuovi firmatari che si aggiungono giorno dopo giorno. Perché tutta questa mobilitazione? Corporate Europe Observatory ha elaborato un elenco di domande che ci vengono poste di frequente, per cercare di spiegare le principali preoccupazioni e problemi della proposta della Commissione.
1. Come la Commissione UE vuole fermare o modificare le decisioni prese negli Stati membri?
La proposta riguarda la "notifica", cioè la necessità di "informare" la Commissione europea, una procedura che potrebbe sembrare abbastanza innocua. Ma non è così semplice. Attualmente, quando viene adottata in uno Stato europeo una nuova iniziativa legislativa che rientra nel perimento di competenza della Direttiva europea sui servizi, la Commissione deve essere informata. Lo Stato membro può informare la Commissione dopo l'adozione e l'entrata in vigore della misura. La Commissione verificherà quindi se le previsioni della Direttiva sono state applicate. Se ritiene che non sia successo, avvia un confronto con lo Stato membro in questione per trovare una soluzione.
Questa procedura è in vigore dal 2006 quando la Sirettiva sui servizi è stata adottata. Tuttavia, una pletora di gruppi di lobby e la stessa Commissione hanno lamentato che questo approccio è inefficace e lento.
Raccogliendo una proposta presentata da BusinessEurope - la Confindustria europea - e sponsorizzata da pressioni di un certo peso da parte di vari altri gruppi industriali, la Commissione ha proposto una procedura nuova e molto più invasiva. Secondo la nuova proposta le Autorità, siano esse Comuni o Ministeri, sarebbero tenute a informare la Commissione in merito alle misure imminenti riguardanti i servizi pubblici tre mesi prima del voto che potrebbe approvarle . Ciò darebbe alla Commissione la possibilità di esaminare il testo in anticipo e, nel caso in cui trovasse qualcosa che ritenesse in contraddizione con la Direttiva sui servizi, di emettere una "segnalazione". Nella "segnalazione" la Commissione indicherebbe ciò che deve essere cambiato per ottenere la sua approvazione.
Se i suggerimenti della Commissione, che possono andare dal rifiuto totale a modifiche minori, non vengono presi in considerazione e il Consiglio comunale o il Parlamento in questione procedono all'adozione della misura, la Commissione prenderà una decisione che impone allo "Stato membro interessato ... di abrogarla"(articolo 7).
Questo in sostanza, e in modo allarmante, autorizza la Commissione a prevalere sulle assemblee elettive in un vasto numero di settori democratici e amministrativi, che sono cruciali non solo per l'economia, ma per la maggior parte delle attività della società. Inoltre, cambierebbe radicalmente il processo decisionale, soprattutto a livello di Comuni e Autorità regionali, minando il principio e la pratica della democrazia locale in tutta l'UE.
2. Che significa in pratica? È davvero così grave?
Prima di continuare a esaminare la base giuridica della proposta della Commissione, facciamo un paio di esempi concreti per capire la posta in gioco.
- Quando il consiglio comunale di Amsterdam si è pronunciato contro la proposta della Commissione, il consigliere comunale Tiers Bakker, che ha redatto la risoluzione, ha fatto riferimento ai tentativi di regolare AirBnB nella città. Per molto tempo AirBnB ha goduto di regole molto flessibili ad Amsterdam, ma col passare del tempo il servizio è diventato così ampiamente utilizzato che ha creato problemi per quanto riguarda l'accesso a alloggi a prezzi accessibili per i residenti, e ha trasformato il contesto sociale in zone chiave della città. Il Consiglio comunale è intervenuto, rispondendo alle richieste del proprio elettorato (i residenti della città) per limitare l’invadenza di questi affitti a breve termine, ma ha scoperto che limitare l'utilizzo di AirBnB poteva tradursi in una violazione della direttiva sui servizi. Se la nuova proposta della Commissione UE andasse in porto, la città di Amsterdam dovrebbe chiedere alla Commissione UE il permesso preventivo per introdurre regolamenti di questo tipo.
- Le leggi di pianificazione e / o urbanistiche sono ricomprese nella Direttiva sui servizi, secondo una recente sentenza della Corte di giustizia europea . In base alla pianificazione urbana, una città può decidere dove collocare zone commerciali ricche di negozi e dove no, regolando perfino le dimensioni degli esercizi. Alcune città potrebbero preferire di non autorizzare mega supermercati per salvaguardare l'esistenza dei piccoli negozi al dettaglio. Quest'aspetto della pianificazione, però, rientra nel raggio d’azione della Direttiva europea sui servizi. Anche in questo caso, ogni eventuale decisione dovrebbe essere notificata anticipatamente alla Commissione, dando all'organo dell'Unione l'ultima parola, forse non su ogni singola decisione di pianificazione, ma consentendole di bloccare o rifiutare piani complessivi e a lungo termine per lo sviluppo della città.
- La Direttiva influisce, inoltre, anche sui diritti dei lavoratori. Quando la Direttiva sui servizi fu proposta per la prima volta, si sollevò un grande polverone per il fatto che essa avrebbe consentito alle società di servizi di operare in tutta l'UE seguendo solo le norme e i regolamenti del proprio Paese di origine. I sindacati sostenevano che ciò avrebbe comportato un inevitabile dumping sociale, in quanto le società con sede in un Paese con bassi redditi medi sarebbero state in grado di inviare lavoratori nei Paesi con limiti salariali più elevati e pagare loro una frazione delle retribuzioni locali. Dopo massicce proteste in tutta Europa, tutte le norme relative al lavoro sono state eliminate dalla Direttiva. Ma ciò non significa che siano consentite misure tese a monitorare il rispetto dei contratti collettivi o degli accordi locali per l’occupazione da parte delle società di servizi. Recentemente la Commissione ha contestato l’introduzione in Danimarca di norme che consentono alle autorità e ai sindacati di individuare potenziali violazioni dei contratti collettivi e del diritto del lavoro .
- La Direttiva sui servizi regola anche l'uso delle risorse naturali. Nel 2015 l'Autorità europea di vigilanza dell'Associazione di libero scambio (EFTA), che vigila sull'adesione alle norme del mercato unico nei Paesi SEE (Islanda, Norvegia e Liechtenstein), ha deciso che la legge islandese sull'uso dell'energia geotermica e delle acque sotterranee viola la Direttiva sui servizi rendendo troppo difficile agli operatori privati stranieri l'accesso alla risorsa. La legge nazionale voleva rispondere a una preoccupazione diffusa in Islanda secondo cui le società private tendono ad avere un approccio a breve termine all'uso delle risorse geotermiche, che non tiene conto dell'interesse pubblico a lungo termine. Tuttavia questa normativa ancora oggi è considerata una violazione della Direttiva europea e a rischio di sanzione .
3. Quali settori sono interessati da questa Procedura, e quindi anche dalla Direttiva sui servizi?
Le decisioni nazionali e locali relative a temi e misure coperti dalla Direttiva sui servizi a partire dal 2006 possono essere respinte dalla Commissione se la nuova proposta dovesse essere approvata. E la Direttiva sui servizi copre una vasta gamma di ambiti democratici e amministrativi. Quando la Direttiva sui servizi era stata inizialmente pianificata nel 2004, si occupava di unicamente dei servizi. La direttiva Bolkestein - che prende il nome dal commissario che l'ha redatta, Frits Bolkestein - era un piano di vasta portata per liberalizzare i servizi e copriva praticamente tutto ciò che si poteva vendere.
Tuttavia, poiché la direttiva è stata accolta da una fortissima opposizione, con oltre 100.000 persone che hanno manifestato per le strade di diversi Stati membri, alcuni settori e aree sono stati rimossi dalla direttiva e in altre aree il suo impatto è stato ridotto, per rispondere alla protesta. Anche nella sua riformulazione, tuttavia, la Direttiva copre una vasta area di questioni e politiche. I settori coperti comprendono: istruzione, contabilità, servizi legali, consulenza, servizi di architettura, approvvigionamento idrico, gestione dei rifiuti, pubblicità, servizi postali, elettricità, fornitura di gas, vendita al dettaglio, mercati rionali e molti altri settori.
In effetti, potrebbe essere più facile capirne laportata elencando i settori di servizi non regolati dalla direttiva: servizi non economici di interesse generale (ovvero quei servizi pubblici per i quali i cittadini non pagano neanche un piccolo contributo come carceri, esercito, polizia e poco più), servizi finanziari, servizi sanitari, gioco d'azzardo, comunicazione elettronica, servizi audiovisivi (TV e radio), servizi di sicurezza privata, trasporti, agenzie di lavoro temporaneo, notai e ufficiali giudiziari. Esiste anche, formalmente, un'esenzione per i servizi sociali, ma sono inclusi tutti i regimi complementari di sicurezza sociale.
4. Che cosa è vietato dalla Direttiva dei servizi?
La Direttiva sui servizi è essenzialmente un elenco di misure, tipi di richieste e quadri normativi che è vietato adottare o imporre da parte degli Stati membri quando si tratta di regolamentare i servizi. La direttiva è composta da tre elenchi. I primi due riguardano tutti i settori non esentati dalla Direttiva, mentre l'ultima e più ampia lista copre tutti i settori, meno alcuni citati esplicitamente nel testo.
Il primo elenco limita l'introduzione di regimi di autorizzazione, vieta i requisiti di residenza per i proprietari e limita le restrizioni sul numero di aziende e la quantità di attività permesse in uno specifico settore di servizi. Vieta inoltre le domande di contributo ai regimi assicurativi o ai sistemi di garanzia finanziaria (con poche eccezioni) e vieta di chiedere alle società di servizi di iscriversi ad un registro sotto specifiche condizioni (come nell'esempio danese di cui sopra).
Il secondo elenco vieta - in linea di principio - di richiedere alle società di servizi requisiti specifici in merito al numero minimo di dipendenti, ai prezzi massimi o minimi, di porre limiti alle attività della società in base alla popolazione in una data area e vieta le regole che richiedono alle società di avere una specifica "forma legale". A questa seconda lista è anche allegata una procedura speciale: essa prevede, finora, che se uno Stato membro adotta un provvedimento che riguardi i settori sopra elencati, debba notificarlo alla Commissione. La Commissione europea con le regole attuali può, quindi, chiedere (non richiedere) allo Stato membro di non adottare, o di abolire la misura, se la trovasse troppo restrittiva e quindi in violazione della Direttiva sui servizi. Ma, e questo è il punto, finora non è stato chiesto agli Stati membri di inviare in visione una misura alla Commissione prima della sua adozione.
Il terzo elenco, contenuto nell'articolo 16 della Direttiva, è il più ampio. Secondo tale articolo, le società di servizi devono essere libere di fornire i loro servizi e non sono consentite restrizioni a meno che non discriminino in base alla nazionalità, e siano proporzionali e "necessarie". Ciò che rende questo articolo particolarmente rigido e restrittivo è che la "necessità" può essere "giustificata solo per ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica, salute pubblica o protezione dell'ambiente". Questa dicitura legale esclude tutte le molte altre preoccupazioni legittime che potrebbero motivare l’introduzione di regole e limiti, come, ad esempio, preoccupazioni sull'accesso ad alloggi e altri servizi essenziali a prezzi accessibili, una vita dignitosa, la protezione degli ambienti urbani e molte altre ragionevoli eccezioni.
Quest'ultimo elenco è stato il più politicamente controverso quando la Direttiva sui servizi è stata adottata nel 2006. Per tale ragione, alcuni servizi pubblici sono stati espressamente esentati da questa particolare sezione: elettricità, gas, servizi postali, approvvigionamento idrico e gestione dei rifiuti. Tutto quanto finora illustrato delinea l'ampia serie di settori disciplinati dalla Direttiva sui servizi, ma non è ancora del tutto chiaro quali siano state e siano tuttora le conseguenze che la Direttiva abbia avuto o avrà in un determinato settore. In Italia, in realtà, la direttiva è riemersa qualche mese fa quando il commercio al dettaglio, in particolare quello dei mercati rionali, ha dovuto fare i conti con la sua capillarità e difficoltà di adattamento alle esigenze dello sviluppo locale . Questo è infatti molto spesso il caso delle direttive UE, in cui l'attuazione deve essere attentamente monitorata per comprenderne appieno l'impatto e le implicazioni amministrative e politiche.
5. La notifica preventiva verrà richiesta per tutti gli articoli della direttiva, incluso il famigerato articolo 16?
Le decisioni assunte rispetto agli argomenti legati all’articolo 16 vanno obbligatoriamente notificate alla Commissione.
Durante la precedente campagna di protesta contro la direttiva Bolkestein, tutti erano molto preoccupati per l'articolo 16, a causa del cosiddetto "Principio del paese d'origine". Questo principio comporta essenzialmente che un fornitore di servizi debba rispettare solo le regole del suo Paese di origine, non quelle degli altri Stati membri in cui opera. Dopo una lunga battaglia, l'articolo è stato modificato per affrontare alcune delle preoccupazioni sollevate, ma è ancora molto debole.
Essenzialmente, esso proibisce le restrizioni di ogni genere sui servizi, a meno che non possano essere dimostrate necessarie per raggiungere un numero molto limitato di obiettivi. Quanto questo principio sia invasivo, o lo sarà, è legato all'interpretazione stessa delle regole. E con la sua nuova proposta, la Commissione europea sta chiaramente cercando di attribuire a se stessa il diritto di interpretare il testo una volta per tutte nel tentativo di "fortificare il mercato unico".
6. Ma la Commissione non deve limitarsi a rispettare le leggi dell’Unione?
No, non è così semplice. Come dovrebbe essere evidente dalle informazioni già condivise, la Direttiva sui servizi è un atto estremamente complicato. È piena di articoli che richiedono una sorta di valutazione caso per caso prima di arrivare a stabilire se la Direttiva sia stata rispettata. Ad esempio: chi decide se una misura adottata a livello nazionale o locale è "proporzionata" o no? Oppure se viene adottata a causa di "cogenti motivi di interesse generale"?
Queste sono valutazioni in parte soggettive, che richiedono una valutazione completa e una motivazione chiara per ogni decisione presa al riguardo. La proposta di modificare la "Procedura di notifica" conferisce alla Commissione la prerogativa di dare risposte precise a domande come queste e di agire motu proprio: mentre nella vecchia versione della Direttiva sui servizi la Commissione può decidere “quando ritenga opportuno chiedere che una misura non sia adottata o abrogata”, nella nuova proposta la Commissione può richiedere la cancellazione di una misura.
Ciò che la Commissione propone di fare non è esattamente il rispetto e l'applicazione del diritto dell'UE: sta infatti proponendo di sostenere e far rispettare la propria lettura e interpretazione dei trattati. E poiché molte delle più cruciali lotte politiche nell'UE riguardano la modalità di interpretazione delle leggi dell'Unione, questa è una mossa sfacciata e una chiara presa di poteri da parte della Commissione. Inoltre, si può sostenere che se la proposta fosse adottata, alla Commissione sarebbe consentito di oltrepassare il suo mandato in due modi:
- La Direttiva sui servizi è proprio questo: una direttiva. Si suppone che una direttiva lasci agli Stati membri il margine di manovra per raggiungere determinati obiettivi in qualsiasi essi modo scelgano di farlo, in contrapposizione ai "regolamenti", che indicano chiaramente come dovrebbero essere raggiunti. Secondo lo stesso sito web della Commissione , le direttive “impongono ai Paesi dell'UE di ottenere uno stesso determinato risultato, ma lasciano loro la libertà di scegliere come farlo”. La nuova procedura di notifica tuttavia mina completamente la libertà degli Stati membri di scegliere in merito.
- In definitiva, non spetta alla Commissione decidere se una direttiva sia stata rispettata o meno, questo è il ruolo della Corte di giustizia europea. La Commissione può certamente farsi un'opinione e può avvertire uno Stato membro che potrebbe violare la Direttiva sui servizi, ma affermare di possedere la massima autorità nell'interpretazione della direttiva, fino al punto di superare le politiche delle assemblee elettive nazionali, significa superare il mandato e il ruolo della Commissione stessa.
7. Ma, ehi, il Parlamento europeo non reagirà con forza a questo attacco alla democrazia?
Purtroppo, no, almeno fino ad oggi. In realtà, al contrario, la Commissione per il Mercato unico del Parlamento europeo ha già adottato una posizione, che non sembra affatto preoccupata per gli impatti la proposta della Commissione che avrà sul processo decisionale dei Parlamenti, delle Assemblee regionali o dei Consigli comunali. Il principale contributo del Parlamento europeo finora è stato quello di suggerire che, mentre la Commissione analizza le notifiche eventualmente ricevute da parte dei Ministeri e dei Comuni, le imprese dovrebbero essere autorizzate a offrire un proprio contributo alla valutazione.
Ciò consentirebbe alle imprese con un interesse specifico rispetto ad una nuova legge o misura proposta, con una procedura consolidata, di esercitare le proprie pressioni sulla Commissione per fermare iniziative che andrebbero contro i loro interessi commerciali. In altre parole, il Parlamento europeo vuole aprire un altro spazio alle lobby industriali .
8. I Comuni e i Parlamenti nazionali non possono affermare che si tratta di una presa di potere illegittima e invocare il principio di sussidiarietà?
Sì e no. I parlamenti nazionali hanno la possibilità di opporsi, utilizzando il cosiddetto "cartellino giallo". Possono così affermare che la Commissione sta invadendo un'area che dovrebbe essere gestita a un livello inferiore di governo, a livello nazionale o cittadino. E infatti, il Bundesrat austriaco , il Senato italiano , la Camera francese e tedesca hanno tutti esercitato il proprio potere di ammonizione. Hanno affermato che la proposta viola il "principio di sussidiarietà" dell'Unione europea, secondo cui una questione che è gestita in modo migliore a livello nazionale o locale non dovrebbe essere disciplinata da norme di livello europeo.
Le risoluzioni di questi organi lanciano un messaggio chiaro alla Commissione. La dichiarazione austriaca afferma che la proposta "si intromette profondamente sulla sovranità legislativa degli Stati membri", mentre il Bundestag tedesco è andato anche un passo più avanti e ha affermato che la proposta viola effettivamente il trattato costitutivo dell’Unione. Tuttavia, in base alle normative in vigore, obiezioni anche forti da parte di Parlamenti e Consigli in Austria, Italia, Francia, Germania e Paesi Bassi non sono sufficienti per sostenere la Proposta o per farla modificare dalla Commissione. Ci vorrebbero obiezioni da almeno altri 5 paesi per costringere Bruxelles a rivederla.
9. Quando sarà presa la decisione finale sulla Proposta?
Potrebbe succedere molto presto. La proposta è stata presentata nel 2016 ed è andata molto avanti nel suo iter. Nel momento in cui scriviamo, le delegazioni degli Stati membri (riunite nel Consiglio europeo) stanno negoziando con il Parlamento europeo per vedere se riescono a individuare un terreno comune di compromesso. Il coordinatore dei negoziati - il Governo austriaco - punta a concludere le trattative prima di consegnare la presidenza del Consiglio al governo rumeno. Dopo di ciò, gli unici due piccoli passi che resterebbero sono un voto al Parlamento europeo e uno al Consiglio.
C’è poco tempo per agire, e la questione è decisamente allarmante, perché la proposta può minare alle fondamenta la democrazia locale e la partecipazione dei cittadini europei, insieme alla capacità delle loro istituzioni di rispondere all’esigenza del proprio elettorato di legiferare nell’interesse pubblico.